Il guado (Isatis tinctoria) è un’erbacea originaria delle zone desertiche del Caucaso e dell’Asia Centrale, presente in Europa fin dalla preistoria. Il pigmento che ne deriva, dalla vasta gamma di tonalità – dall’azzurro cielo al turchese, fino al blu cobalto- è stato storicamente usato sia in tintorìa che in pittura.
Dal XIII al XVII secolo, in Europa, la coltivazione del guado ha costituito una risorsa economica primaria di molti territori. Nel Medioevo è nata infatti la “moda del blu” nel vestiario quotidiano: il guado era l’unica pianta da cui ricavare la polvere colorante che poteva conferire alle stoffe il colore blu e per questo divenne uno dei prodotti più ambìti in tutta Europa.
La produzione ed il commercio del prezioso pigmento hanno fatto la fortuna di numerose città come Urbino e San Sepolcro in Italia, Erfurt in Germania e Tolosa in Francia. Erano questi i “paesi della cuccagna”: paesi ricchi -secondo un comune detto ancora oggi in uso- grazie all’antica lavorazione del guado, che avveniva attraverso la macinazione e la successiva manipolazione in pallottole (cuccagne) per essere poi venduto come colorante.
L’impiego così ampio e diffuso del guado è cessato repentinamente a partire dalla metà del Seicento, quando per ottenere il pigmento azzurro-blu, il guado è stato sostituito con l’indaco, importato dalle Indie a minor prezzo, grazie al metodo di estrazione del colorante molto più semplice.
A partire dal 1806, Napoleone ha emesso una serie di decreti volti a colpire l’economia inglese, con cui si vietava l’approdo delle navi inglesi in tutti i porti soggetti al dominio francese e veniva vietata l’importazione di alcune merci, tra cui quelle coloniali, considerate come provenienti dall’Inghilterra. Uno degli esiti di tali misure, note nel loro insieme come Blocco o Sistema Continentale, è stato l’arresto delle importazioni di indaco. Napoleone ha proposto quindi di riprendere la coltivazione del guado, facendo redigere dei disciplinari per la produzione del colorante e istituendo nel 1811 un premio a livello nazionale allo scopo di incentivare e promuoverne la coltivazione.
A testimonianza di questa antica economia e tradizione sono le 50 macine da guado in pietra scoperte e catalogate, a cavallo degli anni ’80, dallo studioso marchigiano Delio Bischi, veri e propri reperti di archeologia industriale recuperati nell’area montana della provincia di Pesaro-Urbino, nonché i preziosi documenti d’archivio che raccontano di tecniche di coltivazione, di mescole, di unità di misura e di precise regole per la conduzione dei maceri.
Lo storico Corrado Leonardi, negli anni Settanta del Novecento, trova nelle chiese della Valle del Metauro antiche tele in cotone bianco con fasce blu, sono tovaglie d’altare che poi scopriamo essere state rappresentate nelle opere pittoriche dei cenacoli più importanti come quelli del Ghirlandaio o la più famosa “ultima cena” di Leonardo da Vinci. Dallo studio sui materiali delle tele e dall’esame della documentazione d’archivio, è emerso chiaramente come il guado fosse l’unico colorante blu in Europa sino al XVI secolo per la tintura dei tessuti, ma anche quanto la sua produzione nelle Marche fosse centrale.
A seguito dell’incontro con Corrado Leonardi e Delio Bischi, Massimo Baldini inizia la ricerca sull’estrazione e l’applicazione dei colori vegetali e coinvolge imprese ed enti pubblici per attivare progetti di recupero produttivo di tutta la filiera per l’utilizzo del Guado e delle Piante Tintorie.
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Tintura di Massimo Baldini
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